IL TRIBUNALE

    Sull'eccezione  di legittimita' costituzionale dell'art. 23 comma
secondo   d.lgs.  n. 46/1997,  come  modificato  dall'art. 13  d.lgs.
n. 95/1998    in   relazione   all'art. 3   Costituzione,   sollevata
dall'avvocato   Alberto   Moro   Visconti,   difensore   di   fiducia
dell'imputato Riccardo Renzi, all'udienza dell'8 ottobre 2001;

                            O s s e r v a

    Sutherland  Alan, Huen Silvia e Renzi Riccardo venivano citati in
giudizio  per  rispondere  il  primo  del reato di cui agli artt. 21,
comma secondo e 23, comma secondo d.lgs. n. 46/1997, la seconda ed il
terzo  del  reato  di cui all'art. 57 c.p. in relazione agli articoli
citati,  nelle  rispettive qualita' e con le condotte specificate nei
capi di imputazione che si allegano in copia.
    Si     svolgeva    l'istruttoria    dibattimentale,    consistita
nell'acquisizione di documentazione, nell'escussione dei testi citati
dalle parti, nonche' nell'esame dell'imputata Huen.
    Al  termine  dell'istruttoria dibattimentale, l'avv. Alberto Moro
Visconti,  difensore  dell'imputato  Renzi,  sollevava  eccezione  di
legittimita'   costituzionale   dell'art. 23   comma  secondo  d.lgs.
n. 46/1997,  modificato  dall'art. 13  d.lgs. n. 95/1998 in relazione
all'art. 3  Cost.,  depositando  in  data  9 ottobre  2001 memoria in
cancelleria  ed  illustrando  la  questione oralmente all'udienza del
9 novembre  2001; il p.m. ed i difensori degli imputati Sutherland ed
Huen si associavano all'eccezione sollevata.
      La questione di legittimita' costituzionale e' rilevante
    Ritiene  questo  giudice che la questione sia rilevante per tutti
gli  imputati,  in  quanto tutti devono rispondere del reato previsto
dalla norma della cui legittimita' costituzionale si dubita.
    Se,  infatti,  il  secondo  comma  dell'art. 23 d.lgs. n. 46/1997
dovesse   essere   dichiarato   costituzionalmente  illegittimo,  non
rimarrebbe   alcuna   imputazione  per  nessuno  degli  imputati:  il
Sutherland  e' chiamato a rispondere solo del reato in esame, la Huen
ed  il  Renzi sono chiamati a rispondere del reato di cui all'art. 57
c.p.  in relazione alla norma in esame e, quindi, anche l'imputazione
ex  art. 57  c.p.  verrebbe  a  cadere,  nel  caso  in  cui  la norma
denunciata venisse dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale.
    La questione non sarebbe rilevante se questo giudice ritenesse di
poter  considerare  tacitamente  abrogato  l'articolo  denunciato. Ma
cosi' non e', per i seguenti motivi.
    Attualmente,  nel  nostro  ordinamento  esistono  due  norme  che
diplinano  la  pubblicizzazione  senza  autorizzazione di dispositivi
medici  (diversi  da quelli di cui al comma 1 dell'art. 21 del d.lgs.
n. 46/1997): una e' la norma di cui all'art. 23, n. 46/1997 e l'altra
e' l'art. 201 T.U.L.S.
    Il  terzo comma dell'art. 201 cit, infatti, prevede la necessita'
di  licenza  (ora  autorizzazione)  del  Ministero per l'interno (ora
Ministro  della  sanita)  per  la  pubblicita'  a  mezzo  stampa o in
qualsiasi  altro  modo,  concernente,  tra l'altro, i presidii medico
chirurgici.
    Ai sensi dell'art. 1 d.P.R. 13 marzo 1986, n. 128 (Regolamento di
esecuzione all'art. 189 del testo unico leggi sanitarie; il d.P.R. e'
stato  abrogato  dal d.P.R. 6 ottobre 1998, n. 392, ma la definizione
dei  presidi  medico  chirurgici  puo' essere utilizzata, non essendo
stata   modificattda   regolamenti  successivi),  i  presidii  medico
chirurgici   si  dividono  in  tre  gruppi:  A)  presidi  chimici  B)
dispositivi medici C) diagnostici in vitro.
    Pertanto,  i  dispositivi  medici sono una delle tre categorie di
presidii   medici:  l'art. 201  T.U.L.S.,  dunque,  disciplinando  la
pubblicizzazione   dei   presidii   medici,   disciplina   anche   la
pubblicizzazione dei dispositivi medici.
    Ai   sensi  dell'art. 201  T.U.L.S.,  depenalizzato  dall'art. 68
d.lgs.   31 dicembre   1999,   n. 507,   la   pubblicizzazione  senza
autorizzazione  dei  dispositivi  medici  costituisce  mero  illecito
amministrativo,  mentre  a  norma  dell'art. 23  d.lgs. n. 46/1997 la
stessa condotta e' sanzionata penalmente.
    Il  T.U.L.S.  e' una legge generale rispetto al d.lgs. n. 46/1997
in  materia di dispositivi medici e rispetto al d.lgs. n. 541/1992 in
tema di pubblicita' dei medicinali ad uso umano.
    I  due  decreti  legislativi  attuativi  di altrettante direttive
comunitarie  (direttiva  n. 93/42/CEE  per  i  dispositivi  medici  e
direttiva  92/28/CEE  per  i medicinali ad uso umano), infatti, hanno
regolato  in  parte  diversamente la materia dei dispositivi medici e
dei  medicinali  ad  uso umano rispetto al T.U.L.S. e si pongono come
leggi speciali rispetto ad esso.
    Fino     all'emanazione    del    decreto    legislativo    sulla
depenalizzazione,   pero',  non  si  era  creato  alcun  problema  di
coordinamento  della  materia che ci interessa, in quanto la sanzione
penale prevista nel caso di pubblicizzazione illecita di prodotti era
identica  in tutti i casi, ossia nei casi gia' disciplinati dal Testo
Unico e nei casi disciplinati dalla normativa piu' specifica.
    Ora  che,  invece,  il  problema  si  pone, deve esaminarsi se lo
stesso puo' essere risolto applicando i principi generali del diritto
e  del  diritto  penale  in tema di abrogazione implicita o tacita di
norme.
    Una   disposizione   di   legge   puo'  ritenersi  implicitamente
abrogativa  di  una  disposizione  precedente se e' incompatibile con
quella,   in   modo   da   rendere   impossibile   o  contraddittoria
l'applicazione  contemporanea delle due norme considerate in rapporto
tra loro.
    Attualmente  vi  e'  una indubbia incompatibilita' tra l'art. 201
T.U.L.S  e  l'art. 23  d.lgs.  n. 46/1997,  che  rende  impossibile e
contraddittoria  l'applicazione  contemporanea delle due norme, ma, a
parere  di  chi  scrive,  il  conflitto  non  puo' essere risolto dal
giudice  ordinario  mediante  l'istituto  dell'abrogazione  tacita di
norme,  perche'  il  d.lgs.  n. 46/1997  si  pone  in  una  posizione
privilegiata   nell'ambito  della  gerarchia  delle  fonti  normative
rispetto  all'art.  201  T.U.LS., per essere una legge speciale ed un
decreto legislativo attuativo di una direttiva comunitaria.
    Ad  esempio,  il  decreto  in  parola  pone  anche  un divieto di
pubblicita' per alcuni tipi di dispositivi medici (che possono essere
venduti   solo   su   prescrizione  medica  o  essere  impiegati  con
l'assistenza  di  un  medico  o  di  altro  professionista sanitario,
art. 21  d.lgs.  cit.),  divieto  che non e' previsto dalla normativa
generale,  risalente, peraltro, nella sua originaria formulazione, ad
un Testo Unico del 1934 (e la materia dei presidii medici in generale
ha subito evoluzioni tecniche notevoli da quell'epoca).
    La  questione,  quindi,  non  puo'  essere  risolta  dal  giudice
ordinario e deve essere rimessa alla Corte costituzionale.
             La questione di legittimita' costituzionale
                   non e' manifestamente infondata
    La  norma  di  cui  sopra  sanziona penalmente la condotta di chi
effettua  pubblicita' di dispositivi medici... senza l'autorizzazione
di  cui all'art. 21, comma 2 (dello stesso d.lgs.), mentre, a seguito
dell'entrata  in  vigore  del  d.lgs.  31 dicembre  1999,  n. 507, la
fattispecie  penale  originariamente  prevista la pubblicizzazione di
medicinali  ad uso umano senza autorizzazione e' stata trasformata in
violazione    amministrativa    (artt. 90    e    68   d.lgs.   sulla
depenalizzazione).
    La  pubblicizzazione di dispositivi medici senza autorizzazione e
la  pubblicizzazione  di medicinali ad uso umano senza autorizzazione
sono  due  condotte  di  eguale disvalore, lesive dello stesso bene o
interesse  giuridico  e  sempre  trattate  dal  legislatore  in  modo
identico,   tanto   che  originariamente  erano  entrambe  sanzionate
penalmente  con  l'arresto  fino  a  tre mesi e con l'ammenda da lire
duecentomila a lire un milione.
    Le sanzioni penali, originariamente stabilite per entrambi i casi
dall'art. 201,  quinto comma T.U.L.S., sono state per entrambi i casi
ribadite  da  decreti  legislativi attuativi di normative comunitarie
(d.lgs.  n. 541/1992  attuativo  della  direttiva  Cee n. 92/98 per i
medicinali ad uso umano e d.lgs. n. 46/1997 attuativo della direttiva
Cee n. 93/42 per i dispositivi medici).
    La   procedura   prevista   per   la  richiesta  ed  il  rilascio
dell'autorizzazione in questione e' identica nei due casi.
    Pertanto, fino al momento dell'emanazione del decreto legislativo
attuativo  della  legge delega sulla depenalizzazione, il legislatore
ha  mantenuto  una  uniformita' di scelte in tema di protezione della
collettivita'  e  del  bene della salute in materia di pubblicita' di
medicinali  e  di  dispositivi  medici.  Invece, improvvisamente, con
l'emanazione della legge delega e, poi, del decreto legislativo sulla
depenalizzazione, le due discipline si sono discostate in modo netto,
nel   senso   che  e'  stata  depenalizzata  la  pubblicizzazione  di
medicinali senza autorizzazione ed e' stato mantenuto il reato per la
pubblicizzazione  di  dispositivi  medici  senza  autorizzazione, con
introduzione   nell'ordinamento  di  una  disparita'  di  trattamento
sanzionatorio  riservato  a fattispecie lesive in egual misura di uno
stesso bene o interesse giuridico.
    Il  verificarsi  di tale disparita' non appare ragionevole, anche
tenuto conto della "storia parallela" delle due ipotesi.
    Si  e'  operato un approfondito esame dei lavori preparatori alla
legge  delega  25 giugno  1999,  n. 205 (di cui il d.lgs. 31 dicembre
1999,  n. 507,  e'  attuazione), che, all'art. 7, lettera f delega il
Governo  a  trasformare  in  illeciti amministrativi i reati previsti
dagli   artt. 6   e   15   del  d.lgs.  30 dicembre  1992,  n. 541  e
dall'art. 201 T.U.L.S.
    In  nessun  punto delle relazioni alla legge (del sen. Follieri e
dell'on.  Carotti)  ed  in  nessun  punto  delle discussioni svoltesi
presso la 2a Commissione (Giustizia) e nelle aule delle due Camere e'
spiegata l'eventuale ratio della introdotta disparita' di trattamento
tra  le due ipotesi di cui sopra, non essendovi stato, evidentemente,
in  argomento,  alcun  contrasto  ed alcuna discussione nel corso dei
lavori preparatori alla legge.
    Pertanto,  l'introdotta  disparita'  di  trattamento  rimane  non
ragionevole  e  non spiegata dal legislatore. Ci troviamo, quindi, in
uno  di  quei  casi  in  cui  la  Corte  costituzionale ha piu' volte
ritenuto  di  intervenire,  censurando  il  potere  discrezionale del
legislatore  sotto  il  profilo  della  legittimita'  costituzionale,
qualora lo stesso venga esercitato senza il rispetto del limite della
ragionevolezza  (tra  le altre, Corte costituzionale, sentenza n. 409
del 1989, ordinanza 5 febbraio 1999, n. 21).
    Si  e'  ravvisata  in tali casi, e si ritiene che sia ravvisabile
nel   presente   caso,   una  arbitraria  disparita'  di  trattamento
sanzionatorio, conseguente alla sopravvenuta produzione normativa, di
disposizioni   aventi   identica   obbiettivita'  giuridica,  con  la
conseguente violazione del dettato dell'art. 3 Costituzione.
    Quindi, la sollevata questione non e' manifestamente infondata.
    La ritenuta non manifesta infondatezza appare con evidenza ancora
maggiore  se si rileva che, come sopra gia' esposto, attualmente, nel
nostro   ordinamento   esistono   due   norme   che  disciplinano  la
pubblicizzazione   senza   autorizzazione   di   dispositivi  medici:
l'art. 23, secondo comma d.lgs. n. 46/1997 che sanziona penalmente la
condotta  e  l'art. 201  T.U.L.S.  che sanziona la condotta come mero
illecito  amministrativo.  E si e' osservato come il conflitto tra le
due norme non possa essere risolto dal giudice ordinario.
    In  base  a  tali  osservazioni,  va  ritenuta  rilevante  e  non
manifestamente  infondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 23   del   d.lgs.   n. 46/1997   in   relazione  all'art. 3
Cost.,nella parte in cui prevede la pena dell'arresto fino a tre mesi
e  dell'ammenda  da  L.  200.000 a L. 1.000.000 in caso di violazione
dell'art. 21 dello stesso d.lgs.